Carnival Row è più di una serie Fantasy e richiede diversi livelli di lettura che forse ai più sono sfuggiti, forse anche allo scrivente, ma questa è la mia recensione onesta di questa serie TV Amazon Prime Video.
Sinossi.
La città di Burgue è un coacervo di razze, una città nella quale convivono esseri provenienti dal mondo di Fatato, come Pix, Puck e gli esseri umani.
Per gli esseri fatati, Burgue rappresenta il porto principale dei flussi migratori a seguito della guerra con il fantomatico “Patto”, che ha devastato il loro mondo.
I migranti fatati sono costretti ai lavori più umili e la convivenza con gli umani è sempre più problematica e difficile. La politica del Cancelliere Breakspeare più moderata, si scontra con il conservatorismo dell’opposizione.
La fuggitiva Pix Vignette Stonemoss, dopo aver visto sterminate tutte le sue compagne, si ritrova a Burgue, dove i fantasmi del suo passato riaffiorano inaspettatamente quando incontra Rycroft Philostrate.
Rycroft Philostrate, investigatore della polizia di Burgue è alle prese con un intricato caso di omicidio nella Carnival Row e questa indagine lo porterà a guardarsi dentro e a confrontarsi con un segreto sconvolgente.
Un’ambientazione complessa.
Carnival Row può essere visto come una serie di ambientazione Vittoriana, che strizza l’occhio a Penny Dreadful, un grande mondo alternativo, una sorta di passato Ucronico/fantasy in cui elementi tipici dell’epoca vittoriana, si mischiano a elementi decisamente fantasy.
Un azzardo che però alla fine, pur con diverse criticità, risulta vincente, perché proprio questa ambientazione così lontana nel tempo e con elementi fantastici, è la base perfetta per inserire una trama avvincente e tutta una serie di livelli di lettura, come detto prima, che possiamo ritrovare fra le pieghe di Carnival Row.
La maggiore difficoltà che gli autori hanno dovuto affrontare è forse quella di dare, in pochi episodi, un quadro il più possibile comprensibile del mondo di Carnival Row e contemporaneamente, offrire una storia che fosse il più possibile interessante e avvincente nel suo sviluppo.
Si è volutamente rappresentare il quartiere di Carnival Row come una sorta di Whitechapel, un luogo dove le Pix per sopravvivere fanno le prostitute e i Puck sono costretti a fare lavori degradanti e i più fortunati fra loro, fare i maggiordomi presso le ricche famiglie umane di Burgue.
Si respira fin da subito quell’aria di finto perbenismo diffuso fra gli umani, quella ostentata superiorità che è la classica brace sotto la cenere pronta a creare fiammate di malumore e cieco odio razzista per il diverso, per chi fugge da un guerra e chiede solo di vivere dignitosamente.
I protagonisti di Carnival Row.
Da questo quadro d’insieme, dalla calca delle razze, dal fango di Carnival Row, e dalle strade lastricate della Burgue ricca, emergono le figure dei protagonisti: ecco quelli che mi hanno colpito di più.
Rycroft Philostrate.
Egli è un uomo che ha vissuto la guerra nei territori delle Pix, ha lasciato molto più del suo cuore in quelle terre, e proprio questo aver lasciato un po’ di sè stesso in termini di cuore e anima, hanno reso Rycroft un ottimo investigatore.
Caratterialmente è burbero, difficile al sorriso e molto dedito al suo lavoro. Proprio questa sua dedizione al lavoro lo mette davanti a una serie di casi di omicidio, che si svilupperanno durante tutte le puntate di Carnival Row.
Fra i suoi simili (gli umani) è quello che meglio di tutti riesce a infiltrarsi nelle pieghe del quartiere, quasi come se avesse con quel mondo una connessione particolare e che lo spettatore scoprirà pian piano nel corso degli episodi.
Tutto il mondo creato da Rycroft, tutte le difese, tutta la freddezza e le sue doti di poliziotto, crollano con l’arrivo di Vignette Stonemoss, perché il passato che riaffiora fa male.
Vignette Stonemoss.
Quello che colpisce subito in Vignette Stonemoss è la fierezza unita ad una malinconia di fondo per qualcosa perduto per sempre. Lei è una Pix, un essere volante appartenente a una razza falcidiata dalla guerra.
Lei, custode di una biblioteca millenaria, si ritrova, spinta dagli eventi, a vivere a Burgue, dove comprende che per sopravvivere deve mettere da parte la sua antica fierezza per svolgere lavori umili come serva presso gli Spurnrose.
Ma il suo carattere ribelle, la sua innata voglia di indipendenza la portano a fuggire da tutto questo, arrivando perfino a unirsi a una banda di malaffare che però è composta da suoi simili, tranne poi scoprire che la corruzione del mondo umano, ha cambiato gran parte di essi.
Come se non bastasse, il suo triste passato, i suoi sentimenti sopiti dal dolore e dallo scorrere del tempo, si rinnovano alla vista di Rycroft Philostrate e da quel momento in poi, la sua vita a Carnival Row non sarà più la stessa.
Imogen Spurnrose.
Decisamente una sorpresa questo personaggio che all’inizio si fa odiare per la sua ostentata superiorità, i suoi modi affettati e senza anima e che alla fine della stagione, vi garantisco che amerete anche più dei protagonisti principali.
Imogen è la classica ragazza dell’alta borghesia, rinchiusa in un mondo fatto di colazioni in tarda mattinata, prove di abiti, frivolezze e una buona tazza di tè alla cinque del pomeriggio.
Una persona che non si chiede certo da dove arrivano i soldi che spende ma si preoccupa solo che il cappellino all’ultima moda stia bene con l’abito pervinca. Questo finora.
Le difficoltà del fratello Ezra, la costringono in qualche modo a rivedere il suo mondo patinato e come se non bastasse, a complicare tutto arriva un Puck arricchito, Agreus, che suscita in lei sentimenti di odio razziale e invidia.
Ma Imogen deve in qualche modo salvare la sua famiglia e per farlo deve entrare in contatto con il mostro. Tutto questo in verità ricorda molto da vicino le tematiche della Bella e la Bestia, ma qui lo sviluppo è abbastanza inaspettato.
Imogen impara a crearsi una sua personalità, trova il modo di emanciparsi da se stessa, arrivando a mettersi contro tutto ciò che finora aveva pensato fosse la normalità.
Il suo personaggio è stupendo proprio per questa evoluzione che alla fine non può che portare alla totale accettazione del suo personaggio che come detto prima, finiamo per adorare.
Absalom Breakspear.
La figura del cancelliere di Burgue è in qualche maniera l’emanazione della sua città. La sua figura politica è divisa fra l’accettazione da parte dei suoi simili e la presa d’atto che una società multirazziale deve essere in qualche modo gestita per evitare pericolose lotte fra gli umani e gli esseri fatati.
In realtà mi aspettavo maggior profondità per questo personaggio, che alla fine sembra non sfondare quasi mai e che nell’economia della storia, sembra più vittima degli eventi che vero e proprio deus ex machina.
Absalom subisce l’influsso nefasto della moglie Piety e la ribelle voglia di libertà di Jonah, il figlio che preferisce le morbide cosce di una Pix al suo ruolo di futuro Cancelliere.
Alla fine Absalom resta un po’ nel limbo narrativo e forse avrebbe meritato una scrittura più approfondita come personaggio. Personalmente una delusione malgrado lo sforzo recitativo di un grande Jared Harris, ma come si dice dalle Rape non puoi cavare oro.
Piety Breakspear.
Anche per Piety potremmo fare lo stesso discorso di Absalom. Non ha mai bucato lo schermo, non mi ha convinto fino in fondo malgrado anche in questo caso, l’ottima prova d’attrice di Indira Varma.
L’unica cosa che alla fine la mette un gradino sopra il personaggio del marito è il finale di stagione, dove finalmente Piety ha modo di scatenare il suo vero essere, la sua vera natura e il risultato è davvero convincente ma troppo breve per far cambiare idea.
Sophie Longerbane.
Chiudo questa carrellata sui personaggi di Carnival Row con Sophie. Probabilmente il suo personaggio diventerà più centrale con la stagione 2, già in lavorazione, ma già in questa prima, si capisce che serviva ancora una volta una donna forte e ambiziosa per dare sostanza alla lotta politica che vede la sua famiglia rivaleggiare con quella dei Breakspear.
Vissuta all’ombra di un padre dispostico, Sophie ha imparato negli anni di solitudine a studiare sui libri e a comprendere la natura degli uomini e come gestire il potere.
Sophie è bella, astuta e sa ciò che vuole e non si fa troppi scrupoli ad usare qualsiasi mezzo per giungere al suo scopo. Ha una visione d’insieme degli eventi più ampia di tutti i personaggi, costretti dagli stessi e dalla loro limitatezza a vivere solo porzioni di un disegno più vasto.
Lei no. I fatti di Carnival Row sono per Sophie, il motore pulsante di un cambiamento radicale dove solo i più forti sopravvivono al caos perché dopo il nulla, come Dei antichi, si può ricreare un mondo nuovo plasmando la vita stessa dalle ceneri del precedente.
Carnival Row – Analisi della stagione 1.
Ho letto da più parti assurdi confronti fra Carnival Row e Penny Dreadful e addirittura con Game of Thrones. Ecco, sgombriamo subito il campo da queste assurdità, tese solo a creare titoli clickbait senza nessuna base logica.
Carnival Row non è Penny Dreadful. Non lo è per la diversa complessità delle tematiche, rispetto alla serie con protagonista Eva Green.
L’unica concessione possibile di raffronto fra le due serie è in parte l’ambientazione Vittoriana, ma si potrebbe sindacare anche su questo aspetto, ma non voglio tediare il lettore su argomenti che mi allontanerebbero dalla recensione.
Nemmeno commento il confronto con Game of Thrones perché sinceramente non merita nemmeno un virgola.
Un affresco a tinte forti.
Carnival Row è un grande affresco che utilizza tematiche fuori dal tempo per parlarci dei drammi di oggi e di ieri.
Parla di odio razziale, di ghetti, di paura del diverso, di come sia difficile integrare mondi diversi senza trovare davanti barriere a volte insormontabili che si chiamano ignoranza, cattiveria, convenzioni sociali.
Tra i “bruti” cioè fra le razze fatate chi riesce ad emergere è solo chi si sovrappone agli uomini, vive come loro, agisce come loro e va contro i propri simili.
A Carnival Row persino le prostitute Pix preferiscono donare il proprio corpo piuttosto che dare la propria anima e questo rende il loro mestiere più onorevole di altri che invece sono costretti a svilire il proprio essere per essere accettati o a volte solo per vivere perché non possono sfruttare la loro bellezza come fanno le Pix.
Persino i casi di omicidio sono solo un filo conduttore che alla fine diventa secondario rispetto a ciò che la trama fa emergere. Le verità che coinvolgono Rycroft e Vignette, sono solo ingranaggi di un motore narrativo più ambizioso che probabilmente troverà maggior sfogo nella stagione 2.
Manca probabilmente il tocco di un maestro come Gullermo del Toro, inizialmente coinvolto nel progetto, manca la sua verve creativa il suo visionario prospetto che avrebbero donato alla serie quella spinta emozionale che alla fine è mancata in molte parti.
Cara Delevingne delusione o esagerata aspettativa?
Cara Delevingne è stata molto bistrattata per il suo personaggio di Vignette. Io che avevo visto l’attrice in azione nel film di fantascienza “Valerian e la città dei mille pianeti”, non sono rimasto deluso proprio perché sapevo che non potevo aspettarmi di più.
Alla fine il suo personaggio ha trasmesso molto più di quanto non abbiano fatto altri, interpretati da attori più titolati che alla fine sono solo riusciti a rendere meno scialbi e privi di personalità i loro ruoli.
Serviva un’attrice che riuscisse a fondere una bellezza eterea, quasi fatata a un carattere forte, ribelle e indipendente e a mio avviso Cara Delevingne porta a casa il compitino riuscendo a non farci scordare Vignette.
Orlando Bloom ha accettato il ruolo di Rycroft per togliersi di dosso quel legame ormai pesante con le pellicole del Signore degli Anelli e i pirati dei Caraibi.
Voleva un personaggio che fosse complesso, difficile, oscuro in parte. Alla fine però non è riuscito a scrollarsi del tutto il suo passato e a volte è sembrato quasi fuori posto. Personalmente avrei visto meglio di lui, un Tom Hardy che incarna meglio nell’aspetto, ciò che Rycroft rappresenta.
Per lui io avrei visto meglio il ruolo di Jonah, magari più ampliato e più approfondito.
Conclusioni.
Carnival Row lascia dentro un senso di amarezza, una sensazione di impotenza davanti a una chiara rappresentazione del mondo attuale in cui difficilmente il singolo è in grado di fare qualcosa.
Si comprende come non sia una questione di razze o di colore della pelle, di ali o corna, ma solo e soltanto una questione di animo.
Il male contrariamente a quanto pensiamo, non fa distinzioni, non è razzista, si annida fra le Pix e i Puck come si annida nei salotti bene degli umani, così potremmo dire del bene.
Ma come sappiamo è sempre complicato fare distinguo quando alla base c’è la paura di ciò che non è simile a noi, meglio fare di tutta l’erba un fascio, meglio tenere il diverso dentro i recinti, isolarlo.
Per fortuna però e Carnival Row proprio questo ci insegna, non puoi segregare per sempre chi ha le ali per volare e non solo in senso fisico.
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Passo e chiudo.